La sensibilità al glutine (non celiaca e non allergica) è una condizione in cui i pazienti, pur non essendo né celiaci né allergici al grano, presentano sintomi intestinali ed extra-intestinali dopo l’ingestione di alimenti che contengono glutine pur in assenza di atrofia dei villi e di risposta autoimmune dell’organismo (gonfiore, diarrea, stipsi, dolore addominale, sonnolenza, cefalea, depressione). Tale condizione trae giovamento da una dieta che prediliga alimenti naturalmente privi di glutine (come carne, pesce, verdura,frutta) integrata con alimenti gluten-free . Anche una dieta a ridotto contenuto di FODMAP pare avere benefici su questa sfumata entità clinica.

I FODMAP sono carboidrati a catena corta (zuccheri) scarsamente assorbiti nell’intestino tenue che includono oligosaccaridi, disaccaridi, monosaccaridi e polioli (come sorbitolo, mannitolo, xilitolo e maltitolo).

Il termine FODMAP è un acronimo derivato da “Fermentable, Oligo-, Di-, Mono-saccharides And Polyols.

Sebbene i FODMAP siano naturalmente presenti nel cibo e nell’alimentazione umana (grano, segale, orzo legumi, latte e derivati del latte, alcune frutte come mela, pera, ciliegia, pesca, albicocca, cocomero, pompelmo, melagrana, alcune verdure come asparagi, carciofi, aglio, cipolla, porri, scalogno, brassicacee, frutta secca, miele, fibre e supplementi come inulina e FOS utilizzati in molti probiotici, dolcificanti come fruttosio e succo di agave, additivi) è stato rilevato come una restrizione di questi migliori il controllo dei sintomi delle persone con Sindrome dell’intestino irritabile (IBS) e altri disturbi gastrointestinali funzionali. Prima che si sviluppasse il concetto di FODMAP, la dieta raramente era utilizzata come terapia prioritaria per la gestione della Sindrome dell’intestino irritabile e altri disturbi gastrointestinali funzionali.

La dieta FODMAP prevede una prima fase di 3-6 settimane di eliminazione, durante la quale viene ridotto al massimo il consumo di alimenti contenenti FODMAP e si valuta la eventuale regressione dei sintomi, una seconda fase di reinserimento durante la quale gli alimenti esclusi vengono reintrodotti in maniera graduale per capire quali siano le quantità e le frequenze di consumo che creano disturbi, ed infine una terza fase di mantenimento che basandosi sui risultati ottenuti negli step precedenti consenta di costruire una dieta più ricca e più variabile possibile.

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Dott.ssa Silvia Galetti
Specialista in Endocrinologia e Scienza dell’Alimentazione a Modena

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